Un minuto di silenzio

Articolo di DARIO ROMANO

La scomparsa di Emiliano Mondonico tocca tutti noi.
Mi riferisco agli appassionati di calcio, quelli puri.
Coloro che magari provano repulsione per un team vuoi per le associazioni cromatiche o per il semplice campalinismo ma che guardando al passato dello stesso club, soprattutto se glorioso, nutrono anche rispetto.
In sintesi: l’orticaria per le strisciate va bene, ma l’Inter di Herrera, il Milan degli olandesi, la Juve del Trap rappresentano pietre miliari che ti fermi per forza ad osservare lungo il cammino della nostra vita di amanti dello sport più bello del mondo.
E proprio il ‘Mondo’, dove lo collochi?
In panchina, a bordo campo, dove la signorilità, la pacatezza, la professionalità possono sfociare in un gesto di stizza che è autentico, sincero, genuino come il personaggio.
E allora quando vedi una sedia impazzita, uno stempiato di una certa età che corre come un forsennato perchè ‘se famo il 3-3 vengo sotto la curva’, un gentiluomo che si dispera perchè quel rigore solare diviene ombra totale sul rovesciamento di fronte e realizza che il campionato non lo vincerà mai, capisci come i vari Mondonico, Mazzone, Simoni non siano altro che l’essenza del Calcio, quello vero che ci manca un po’ a tutti.
Mourinho potrà tirare cravatte, metterti un dito nell’occhio, fare il gesto delle manette.
Ma è tutto studiato: quando un vero uomo perde le staffe, la sua reazione ti rimane scolpita nella memoria, per sempre.
Il cabaret ti fa anche sorridere, poi passa e avanza.
Rocco, Bersellini, Castagner, Trapattoni, Bagnoli, Sonetti, Zoff: sergenti di ferro e monumenti che ti facevano vincere una partita nel modo più bello.
All’italiana, magari in contropiede all’ultimo secondo perchè il tanto vituperato catenaccio, quando si apriva, sapeva far male.
Negli ultimi anni l’ha ‘giocata’ così, la sua vita, il buon Emiliano.
Catenaccio nudo e crudo.
Poi, in un giorno di fine Marzo, ci ha preso tutti in contropiede.